TRIBUNALE DI TRIESTE Sezione civile R.G.A.C. 422/2011 Ordinanza Nella causa tra sig. G.T., rappresentato e difeso dall'avv. Andrej Venuti, con studio in Trieste, via Trento, 11, ricorrente; Contro Prefettura di Trieste, in persona del Prefetto in carica pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura dello Stato di Trieste, Piazza Dalmazia 3, Trieste, resistente. Conclusioni delle parti Per il ricorrente: «Nel merito, in via principale: disapplicare il provvedimento di revoca impugnato, ordinando alla Prefettura l'immediata restituzione della patente al ricorrente; nel merito, in subordine e per tuziorismo: nell'eventualita' di rinvio della causa alla Corte costituzionale, indicare fra le norme costituzionali violate il 2° comma dell'art. 25 Cost.; preliminarmente: nell'eventualita' di rinvio della causa alla Corte costituzionale, sospendere il provvedimento impugnato, sussistendone gravi motivi». Per la resistente: «che Codesto Ill.mo Tribunale voglia dichiarare l'inammissibilita' dell'opposizione per inconfigurabilita' nella fattispecie di una sanzione amministrativa opponibile ai sensi della legge n. 689/81; comunque dichiarando l'infondatezza nel merito della opposizione e confermando l'inidoneita' morale dell'opponente al conseguimento del titolo abilitante alla guida, in applicazione dell'art. 120 del Codice della strada, stante il pregiudiziale incontestato giudicato penale sfavorevole a parte opponente. In via cautelare: dichiarare l'inammissibilita' della domanda di sospensione, stante l'inapplicabilita' nella fattispecie del rito di cui alla legge n. 689/81. Spese vinte». Il Giudice, sciogliendo la riserva di cui al verbale di cui all'udienza del 20 luglio 2011, letti gli atti ed esaminata la documentazione, provvede come di seguito. Premesso Con ricorso in opposizione a sanzione amministrativa ex legge n. 689/81, il sig. G.T. chiedeva al Tribunale civile di Trieste l'annullamento del provvedimento della Prefettura di Trieste di revoca della patente di guida, notificato allo stesso in data 30 agosto 2010. Esponeva, in particolare, l'opponente che il medesimo veniva condannato con sentenza n. 293/07 del Tribunale penale di Trieste, divenuta definitiva in data 11 febbraio 2008, per il reato p. e p. dall'art. 73 d.P.R. n. 309/90. La Prefettura di Trieste - ricordava il ricorrente - riteneva in concreto di applicare la sanzione di cui al comma 2 dell'art. 120 del C.d.S., come novellato dall'art. 3, comma 52, lett. a), della legge n. 94/2009, entrata in vigore piu' di un anno dopo. Proposto dalla difesa del sig. T. ricorso dinanzi al T.A.R. del Friuli Venezia Giulia, innanzitutto per la sospensione della predetta sanzione, in quanto asseritamente contraria all'art. 25, comma 2, Cost., il T.A.R. adito, ritenendo che la sanzione in oggetto costituisse sanzione accessoria penale, dichiarava l'inammissibilita' del ricorso per difetto di giurisdizione, indicando la giurisdizione del Giudice ordinario (con sentenza n. 709/10, in atti). Alla luce di cio', essendo la sentenza penale di condanna passata in giudicato, ai sensi degli artt. 662, 666 e 676 c.p.p., veniva successivamente proposta dallo stesso sig. T., in data 18 ottobre 2010, istanza per la revoca della sanzione accessoria al Giudice dell'esecuzione (G.I.P.) del Tribunale di Trieste. Quest'ultimo, tuttavia, si dichiarava a sua volta incompetente, affermando la competenza del Tribunale civile di Trieste, ex art. 22-bis, comma 3, lett. c) della legge n. 689/81, trattandosi - secondo il Tribunale penale - di sanzione non pecuniaria, che non apparirebbe derivante da una violazione al Codice della strada, bensi' risulterebbe essere una punizione del tutto anomala, e di dubbia costituzionalita', derivante dalla semplice condanna per alcuni reati, da cui deriverebbe, per presunzione assoluta, la carenza dei requisiti morali per il conseguimento ed il mantenimento della patente. Osservava il ricorrente che se la revoca della patente ex art. 120 del C.d.S., nel testo novellato, prevedesse una sanzione amministrativa - come sostenuto dal G.I.P. - la sua irrogazione sarebbe contraria all'art. l della legge n. 689/81; se invece - come affermato invece dal T.A.R. - la norma stabilisse l'applicazione di una sanzione penale accessoria, allora la sua irrogazione sarebbe contraria all'art. 25 comma 2 Cost.. Chiedeva dunque l'annullamento del provvedimento prefettizio impugnato, previa sospensione cautelare del medesimo, in quanto gravemente lesivo del principio di irretroattivita' delle sanzioni penali e/o amministrative. All'udienza del 20 marzo 2011, fissata ai soli fini della discussione della sospensiva, si costituiva la Prefettura di Trieste, in persona del Prefetto in carica pro tempore, depositando memoria. Sciogliendo la riserva assunta all'udienza citata, con ordinanza dd. 25 marzo 2011, il Giudice, rilevato che nel caso de quo il provvedimento prefettizio non dispiegava piu' i suoi effetti, essendo gia' decorso il termine di tre anni dalla data di irrevocabilita' della sentenza, rigettava, per difetto dei requisiti in concreto, la domanda di sospensione, senza con cio' anticipare il procedimento di merito. Si costituiva anche nel merito, con separata comparsa, la Prefettura di Trieste, in persona del Prefetto in carica pro tempore, affermando che l'art. 120, comma 1, cit., contempla la revoca della patente di guida e non richiede apprezzamento alcuno da parte dell'Autorita' amministrativa circa il verificarsi della pericolosita' in concreto; affermava l'Amministrazione resistente l'inammissibilita' in rito dell'opposizione introdotta da controparte, non vertendosi, nella specie, in materia di sanzioni amministrative. Ricordava, poi, l'orientamento per cui che il decreto con cui il Prefetto dispone la revoca della patente di guida, per effetto della sottoposizione del titolare alla misura di prevenzione, non costituisce conseguenza accessoria della violazione di una disposizione in tema di circolazione stradale, costituendo piuttosto la constatazione della originaria o sopravvenuta inesistenza dei requisiti morali prescritti per il conseguimento dei titolo abilitativi alla guida. All'udienza del 7 giugno 2011, fissata per la prima comparizione delle parti, il Giudice rilevava la questione di legittimita' costituzionale della norma applicata dalla Prefettura, anche tenuto conto del suo carattere controverso. Rilevata, altresi', la competenza del Tribunale ordinario, trattandosi di misura che incide su diritti soggettivi, considerato che la Cassazione, con sentenza 22491/2010, ha affermato che la revoca de qua non costituisce sanzione amministrativa, escludendo in rito l'applicazione della legge n. 689/81, disponeva il mutamento del rito, fissando per l'eventuale rimessione della questione alla Corte costituzionale - come tuzioristicamente richiesto peraltro dalla difesa del ricorrente - o per la precisazione delle conclusioni l'udienza del 20 luglio 2011. In quella sede, l'Avvocatura dello Stato chiedeva la reiezione della domanda, la difesa dell'opponente depositava memoria, concludendo come in atti. Il Giudice si riserva il provvedimento. Nel caso in esame, con provvedimento dd. 21 maggio 2010, il Prefetto di Trieste revocava il titolo abilitante alla guida ex art. l 16 del C.d.S., in applicazione dell'art. 120 del C.d.S. stesso, secondo cui «Non possono conseguire la patente di guida, il certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e il certificato di idoneita' alla guida di ciclomotori i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ad eccezione di quella di cui all'articolo 2, e dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, falli salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi, nonche' i soggetti destinatari dei divieti di cui agli articoli 75, comma 1, lettera a), e 75-bis, comma 1, lettera f) del medesimo testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 per tutta la durata dei predetti divieti. Non possono di nuovo conseguire la patente di guida le persone a cui sia applicata per la seconda volta, con sentenza di condanna per il reato di cui al terzo periodo del comma 2 dell'articolo 222, la revoca della patente ai sensi del quarto periodo del medesimo comma 2. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 75, comma 1, lettera a), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, se le condizioni soggettive indicate al primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneita' alla guida di ciclomotori. La revoca non puo' essere disposta se sono trascorsi piu' di tre anni dalla data di applicazione delle misure di prevenzione, o di quella del passaggio in giudicato della sentenza di condanna per i reati indicati al primo periodo del medesimo comma 1». Orbene, e' d'uopo sin d'ora ricordare che le Sez. Un., con sentenza n. 2446/2006, hanno affermato che l'art. 120 del C.d.S., comma 1, nel testo risultante a seguito delle sentenze della Corte costituzionale nn. 354/1998 e 251/2001, contempla la revoca della patente di guida e non richiede alcun apprezzamento da parte dell'autorita' amministrativa circa il verificarsi di detta pericolosita' nel caso singolo. Secondo la cennata pronuncia - va qui per completezza ricordato - la domanda rivolta a denunciare la illegittimita' del provvedimento di revoca della patente di guida, reso dal Prefetto a carico di persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale si ricollega ad un diritto soggettivo - con soluzione che si ritiene qui applicabile anche al caso in esame - e di conseguenza, in difetto di deroghe ai comuni canoni sul riparto della giurisdizione, spetta alla cognizione del Giudice ordinario. Nel caso di specie, si ribadisce che il provvedimento prefettizio in questione non esprime esercizio di discrezionalita' amministrativa, cioe' di potere idoneo a degradare la posizione di diritto soggettivo della persona abilitata alla guida, ma e' un atto dovuto, nel concorso delle condizioni all'uopo stabilite dalla norma. La domanda rivolta a denunciare l'illegittimita' del provvedimento di revoca della patente di guida si ricollega ad un diritto soggettivo e percio', in difetto di deroghe ai comuni canoni sul riparto della giurisdizione, spetta alla cognizione del Giudice ordinario (cui compete, nell'eventualita' del fondamento della denuncia, di tutelare il diritto stesso disapplicando l'atto lesivo). Giova, inoltre, ricordare in questa sede che la Cassazione, con la sentenza n. 22491/2010, ha avuto moda di specificare che «il provvedimento applicato dal Prefetto ai sensi dell'art. 120 C.d.S. non puo' essere assimilato alle sanzioni amministrative per le quali e' stato previsto in via generale il regime di impugnazione previsto dalla legge n. 689 del 1981, sia in relazione al procedimento seguito che in relazione alla sua natura, in quanto dipendente dalla applicazione di misure di prevenzione, tanto che, prima degli interventi della Corte costituzionale su richiamati dalla sentenza delle SU di questa Corte citata, in relazione a tale provvedimento si riteneva sussistente la giurisdizione amministrativa». Alla luce di cio' si deve ritenere che la misura in questione, cui consegue la privazione della patente di guida e l'impossibilita' di conseguire un nuovo titolo di guida prima di tre anni dalla data di irrevocabilita' della sentenza, non sia ascrivibile al novero delle sanzioni penali accessorie, non costituendo conseguenza accessoria della violazione di un precetto a rilevanza penale, ne' a quello delle sanzioni amministrative disciplinate dalla legge n. 689/81, non potendosi, a ben vedere riscontrare un nesso con una violazione del C.d.S.. Ergo, non trova applicazione, in primo luogo, il divieto di irretroattivita' della legge penale consacrato nell'art. 25, comma 2, Cost. Ne' puo' ritenersi applicabile, in secondo luogo, la norma di cui all'art. 1 legge n. 689/81 (pur invocata dall'attuale ricorrente), secondo la quale nessuno puo' essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione: cio', a tacere del fatto che trattandosi, in questo secondo caso, di norma avente forza di legge ordinaria, essa ben potrebbe essere derogata da una fonte successiva di pari grado, residuando, pertanto, soltanto un (diverso) problema di ragionevolezza della scelta del legislatore. Tale ultimo profilo, id est quello della ragionevolezza della scelta legislativa rimane in tutta la sua concretezza e attualita' anche nell'ambito della configurazione che codesto Tribunale ritiene corretta, e cioe' la sussunzione della fattispecie de qua nell'ambito di un tertium genus di misure, che fanno corrispondere ad una serie di fatti o atti la constatazione della inesistenza (originaria oppure anche, come nella specie, sopravvenuta) dei requisiti morali prescritti per il conseguimento o mantenimento della patente di guida. Tale misura prefettizia, nelle ipotesi di violazione dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990, fa corrispondere a tale fatto la presunzione iuris et de iure di inidoneita'. Va osservato, peraltro, che la possibilita' che in concreto tale effetto possa prodursi anche con riferimento a fatti accaduti prima dell'entrata in vigore della legge n. 94/2009 (e cioe' della data dell'8 agosto 2009) non e' di per se' escluso dalla norma in questione, che - come sopra ricordato - non prevede una sanzione penale ne' una sanzione amministrativa (non essendo, comunque, costituzionalizzato il principio di cui all'art. 1 legge n. 689/81). Ne' - quantomeno da un punto di vista meramente formale - si rinvengono elementi di per se' ostativi - salvo appunto un'esigenza di ragionevolezza e proporzionalita' - alla previsione normativa dell'assenza o del venir meno dei requisiti morali in conseguenza di fatti o atti progressi e non modificabili. Con riferimento al profilo riguardante la parificabilita', ai nostri fini, tra pronuncia a seguito di patteggiamento e sentenza di condanna, pur ricordando che - secondo la S.C. - la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilita', ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione; detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall'efficacia del giudicato, ben puo' essere utilizzato come prova nel corrispondente giudizio di responsabilita' in sede civile. (nella specie, la Corte cass. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto l'espressione "condanna penale", contenuta in un bando di concorso per l'assunzione di conducenti di linea, comprensiva anche della sentenza di patteggiamento. Cfr. Cass. civ., Sez. I, Sent. 5 maggio 2005, n. 9358) - si richiede all'ecc.ma Corte la ragionevolezza di tale interpretazione anche al peculiare caso di specie. La norma di cui al novellato art. 120 Cost. solleva, inoltre, dubbi di irragionevolezza e di mancata proporzionalita' rispetto ai mezzi a disposizione, anche tenendo conto che la misura fa riferimento ad una fattispecie di reato che non richiede, di per se', l'uso della patente di guida (anche se puo' certamente agevolarlo), ma non prende in considerazione altre fattispecie penalmente rilevanti in cui il titolo autorizzativo costituisce strumento indispensabile per delinquere. Infine, sotto il profilo del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., si deve rilevare che, connaturata all'operativita' di cui alla misura prefettizia in discorso, vi e' una lesione del diritto di difesa del soggetto interessato. Quest'ultimo, sulla base della condanna per spaccio di droga, condotta che non presuppone di per se' l'uso personale delle sostanze in oggetto (e fermo l'ulteriore cennato problema dell'applicabilita' o meno della norma ai casi di applicazione della pena su richiesta delle parti), viene - per cosi' dire - a subire la presunzione assoluta e incontestabile circa l'asserito venir meno dei requisiti morali. Se cio' e' vero, la norma nel nuovo testo ricordato presta il fianco a censure nella parte in cui non prevede una valutazione di tipo prognostico da parte dell'Autorita' prefettizia sulla personalita' del reo e/o sulla possibilita' che il possesso del titolo abilitativo possa agevolare o meno la commissione di reati di particolare allarme sociale.